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Franceschini, lo spettacolo non ce la fa più

(ANSA) – ROMA, 12 APR – Raddoppiare le presenze massime consentite per gli spettacoli sia all’aperto sia al chiuso. E coinvolgere le Regioni, trovando il modo di sperimentare eventi aperti anche a qualche migliaio di persone, sul modello del concerto di qualche giorno fa a Barcellona, da accompagnare con misure di sicurezza in più il cui costo non ricada però né sul pubblico, già difficile da convincere a partecipare, né sugli esercenti, già troppo provati dalla crisi economica. Ma comunque spingere per quanto si può sulle riaperture, dopo il 30 aprile, perché il settore è allo stremo, non ce la fa più e per la sua importanza anche per l’economia del Paese, “deve essere considerato “essenziale al pari della scuola”.
    Da sempre sulla linea della prudenza, il ministro della Cultura Franceschini ha passato ore oggi in collegamento con i tecnici del Cts per convincerli della necessità di trovare soluzioni che vengano incontro a cinema, teatri, danza, musica, manifestazioni artistiche. Immaginando uno scenario che tra domani e mercoledì verrà articolato nei particolari in un documento, una proposta nata dalla sintesi delle richieste avanzate in queste settimane dalle associazioni di settore e dai rappresentati degli enti locali, e che il ministro si è impegnato ad inviare al Comitato.

Una mediazione accompagnata da non poche tensioni e preceduta oggi dall’aut aut dell’Agis, l’associazione generale dello spettacolo, insorta contro l’ipotesi di obbligare gli spettatori a fare il tampone prima di entrare in sala e a provvedersi sul posto di una mascherina Ffp2. Sarebbe “un elemento di discriminazione sociale, oltre che un ulteriore disincentivo alla partecipazione”, sottolineava l’associazione presieduta da Carlo Fontana, facendo notare che anche il costo della mascherina, se addossato ai gestori dei locali, non sarebbe sostenibile. Il ministro sparge acqua sul fuoco, non servirà fare il tampone per tornare al cinema o al teatro, assicura lasciando la riunione. Per questo tipo di spettacoli, le precauzioni rimarranno quelle alle quali ci siamo tutti già abituati, dall’obbligo della mascherina al divieto di mangiare in sala, il divieto di assembramento, le distanze. Puntando ad aumentare la capienza fissata dagli attuali protocolli, che prevedono di poter riempire le sale al 25 per cento con un massimo di 200 persone al chiuso e 400 all’aperto. Anzi chiedendo di raddoppiarla. Le precauzioni ulteriori, l’ipotesi di richiedere un tampone, come hanno fatto in questi giorni i parchi olandesi o com’era stato per il concerto ‘apripista’ di Barcellona, entrerebbero in campo invece – questa l’idea del ministro – per eventi particolari, situazioni speciali la cui organizzazione verrebbe lasciata alla valutazione delle Regioni, concerti o manifestazioni da tenersi rigorosamente all’aperto ma aperti anche a qualche migliaia di spettatori. E il costo di queste garanzie aggiuntive, dai tamponi alle mascherine distribuite in loco, potrebbe essere sostenuto dallo Stato o dalle regioni o magari da uno sponsor, in modo da non pesare né sugli spettatori, né sugli organizzatori. Anche se l’ultima decisione spetta ai tecnici e al governo.

Dall’Agis alle circa 80 realtà promotrici del protocollo #Ricominciamo, le associazioni, che da mesi lavorano anche in collaborazione con il ministero per immaginare un futuro per lo spettacolo, restano col fiato sospeso. In queste settimane c’è stata da parte di tutti un’attività febbrile per mettere a punto protocolli, immaginare organizzazioni sostenibili. Autori, esercenti, artisti, produttori vorrebbero in realtà di più, chiedono che la capienza fissata non sia uguale per tutti, ma legata alla grandezza delle sale o dei luoghi all’aperto, che sia consentito vendere da bere e da mangiare, che si considerino la complessità e la varietà di questo settore. E che lo Stato tenga conto anche di quanto costano gli investimenti per la sicurezza e di chi non se li potrà permettere. (ANSA).
   

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