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Rosso, la Sardegna, la vita

MARIO ROSSO, ‘SEMBRAVA ANCORA DI GIOCARE’ (EDIZIONI CLICHY, pag. 247, Euro 18,00) – Sulla copertina c’è scritto ‘romanzo’ ma mi sembrerebbe francamente di sminuirlo a definire’ Sembrava ancora di giocare’, un libro di fantasia. Il racconto di Mario Rosso infatti ha la grazia e la crudezza della storia, ma non quella oramai così stantia con la S maiuscola, la storia che vorremmo veramente leggere nei libri di scuola, quella vera e in qualche senso ‘politica’ perché fatta da uomini e donne reali, con i loro grandi e piccoli eroismi certo, ma anche con le debolezze che qualche volta si trasformano in nefandezze. Senza nascondere nulla. Era tutta avvolta in silenzio invece, come accade spesso a molti di noi, la narrazione di quella famiglia nata e vissuta in Sardegna anche dall’anomalo cognome (Rosso appunto forse di origine sabauda chi lo sa), ma l’autore è andato a riscoprirla pezzo per pezzo con la freddezza e la consapevolezza che si mette nelle cose fatte con amore.
    ”L’oblio vale naturalmente solo per gli umili, cioè i poveri, che sono di più e contano meno, anzi niente, nella Storia. Per le elite, i nobili, i padroni, i dominatori a vario titolo il problema è un altro: quello di adattare, manipolare, e abbellire la memoria, o , nei casi più bui, di cancellarla per nascondere assieme alla loro storia gli errori e le colpe di tutti”.
    Con questa premessa che è una dichiarazione di poetica, l’autore mette insieme il puzzle delle carte che possono aiutarlo a dare vita ai personaggi della sua infanzia, magari soltanto sentiti nominare, o scoperti solo al momento della loro morte, come lo zio ‘pecora nera’ e per questo rimosso, anzi occultato nel pervicace silenzio di una famiglia sarda. E c’è allora il bellissimo, poetico personaggio dello zio Michele, alcolizzato e per questo (forse) lasciato dalla moglie e condannato dal padre a vivere di stenti e in solitudine, ma buono e dolce e sempre sorridente come pochi. O il nonno Antonio e la nonna Paola, sempre vestita di nero e con quel suo inseparabile fazzoletto (su muccarolu) che a seconda di come era messo diceva molto del suo stato d’animo: ”per la donna sarda strumento di espressione, di fierezza e di libertà”. O ancora il nonno Luca, imponente e autoritario nella sua giacca da pastore e la moglie Maruzza morta giovanissima. O il padre Andrea e la madre Francesca a cui dedica parole bellissime.
    Ma soprattutto c’è il paese, la campagna, le case buie come grotte, gli odori forti, quel tempo quasi medievale di un’Italia sprofondata in una vita arretrata eppure accettata senza lamentele. ”In una delle mie prime estati di consapevolezza tardo infantile e interesse per il lavoro, potei seguirli nella successione rituale di tutte le fasi attraverso le quali veniva costruito un intero carro a buoi. Partendo da pochi tronchi, quasi casualmente ammucchiati nel magazzino, gesto dopo gesto la costruzione prendeva forma e senso, pareva sorgere quasi dal nulla, come una creazione da materia informe e primigenia, come le pietre lanciate da Deucalione e Pirra’.’ Ecco, così, Mario Rosso, dimenticando la sua esperienza di manager e anche gli studi in Filosofia teoretica ha costruito il suo bel libro con la cura antica dell’artigianato .    

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