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Funzionano i mini-computer ibridi, con neuroni umani

Realizzato un mini-computer ibrido, un mix tra cellule neuronali assemblate in un organoide e un chip elettronico. La nuova macchina, capace di eseguire calcoli per il riconoscimento vocale e di risolvere alcuni problemi informatici, è stata realizzata dal gruppo di ricerca guidato da Feng Guo, dell’Università Bloomington nell’Indiana. I risultati, pubblicati sulla rivista Nature Electronics, dimostrano il potenziale di questi innovativi strumenti bioinformatici che fondono organoidi del cervello con hardware elettrici.

I progressi delle Intelligenze Artificiali, in particolare quelle basate su processi di apprendimenti automatico, richiedono un’enorme potenza di calcolo e, man mano che i sistemi diventano più potenti e sofisticati, emerge ‘importanza di migliorare notevolmente l’efficienza energetica di chip e computer. Proprio per rispondere a queste esigenze, negli ultimi anni si sta cercando di sviluppare sistemi informatici neuromorfici, ossia in qualche modo simili al funzionamento del nostro cervello biologico che può vantare un consumo di energia molto più basso rispetto agli analoghi elettronici.

Un importante passo in avanti arriva ora dai ricercatori americani che sono riusciti a fondere insieme un chip elettronico con un cervello in miniatura ottenuto da neuroni umani. Il risultato è una sorta di mini-computer ibrido chiamato Brainoware, capace di elaborare dati in modo molto efficiente in termini di consumi energetici e comparabile a un suo analogo tradizionale a livello di prestazioni.

Al momento Brainoware è stato usato per operazioni di riconoscimento vocale – in particolare su alcuni suoni del giapponese, sulla base di 240 brani audio registrati da 8 persone differenti – e messo alla prova nel calcolo dell’evoluzione di un sistema dinamico. Un traguardo importante per il futuro sviluppo non solo della bioinformatica, ma per migliorare la comprensione del funzionamento del cervello umano. “Potrebbero volerci decenni prima che di poter realizzare sistemi generali di bioinformatica, ma – ha commentato Lena Smirnova, dell’Università Johns Hopkins a Baltimora – questa ricerca probabilmente genererà intuizioni fondamentali sui meccanismi di apprendimento, sullo sviluppo neurale e sulle implicazioni cognitive delle malattie neurodegenerative”.

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