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Unione Europea

Convenzione di Istanbul: combattere la violenza sulle donne

Ad una settimana dalla Giornata internazionale della donna, il Parlamento europeo ha nuovamente esortato l’Ue a ratificare il più presto possibile la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, nota come Convenzione di Istanbul. Una donna su tre nell’Ue ha subito violenza fisica o sessuale, un dato – sottolineano diversi europarlamentari – che mostra l’urgenza di procedere ad una rapida ratifica.

 

La Convenzione di Istanbul è stata adottata nel 2011 dal Consiglio d’Europa, principale organizzazione di difesa dei diritti umani in Europa, ed è entrata in vigore il 1 agosto 2014, dopo esser stata ratificata da 10 Stati. Il Trattato è stato firmata dall’Ue il 13 giugno 2017, ma ad oggi sei Stati membri – Bulgaria, Repubblica Ceca, Ungheria, Lettonia, Lituania e Slovacchia – hanno bloccato il processo di ratifica da parte dell’Ue. Nel 2021 tuttavia la Corte di Giustizia europea ha stabilito che Bruxelles potrebbe procedere anche non all’unanimità.

 

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La Polonia, che ha ratificato la Convenzione nel 2015, sta cercando di revocarla, ritenendola “dannosa” perché secondo Varsavia, il trattato imporrebbe l’insegnamento ai bambini della ‘teoria gender’ nelle scuole. La Turchia, invece, è uscita dall’accordo nel 2021. Nonostante la guerra, l’Ucraina è stata in grado di ratificare il trattato l’anno scorso.

 

“Solo Sì significa sì”: leggi progressiste in Spagna e Slovenia

Slovenia e Spagna hanno ratificato la Convenzione di Istanbul rispettivamente nel 2014 e nel 2015, e hanno persino ridefinito i reati di stupro e violenza sessuale adottando il principio “solo sì significa sì”. Se una persona non esprime chiaramente la propria volontà di avere un rapporto sessuale, deve essere considerato come un “no”. La normativa, quindi, non contempla necessariamente l’uso della forza come requisito per punire un’aggressione sessuale.

Secondo un rapporto della European Women’s Lobby del 2020, Madrid ha registrato un miglioramento nella prevenzione e nel perseguimento dei reati contro le donne. Il paese ha anche aumentato il sostegno finanziario per le vittime e ha creato centri anti-violenza. In conformità con le linee guida della Convenzione di Istanbul, la Spagna è stata anche il primo paese in Ue a registrare tutti i tipi di femminicidi nel 2022. Nonostante ciò, l’eradicazione della violenza contro le donne continua a essere una sfida: lo scorso anno sono state 49 le donne vittime di femminicidi.

La Slovenia non ha avuto problemi a rispettare la Convenzione: secondo il rapporto per il 2021 del Gruppo di esperti del Consiglio d’Europa responsabile del monitoraggio dell’attuazione della Convenzione (Grevio), Lubiana ha compiuto progressi nella creazione di un quadro giuridico, istituzionale e politico. Tuttavia, sottolineano gli esperti, dovrebbe essere prestata maggiore attenzione alle donne appartenenti a categorie vulnerabili e al miglioramento della raccolta dati, e il sistema di giustizia penale dovrebbe intraprendere azioni più incisive. La violenza domestica sulle donne è aumentata in modo significativo durante la pandemia di Covid 19. Nel 2020 i casi di femminicidio sono stati dieci. Secondo gli ultimi dati, una donna su cinque in Slovenia ha subito qualche forma di violenza.

 

La Germania non ha un piano d’azione nazionale

La Convenzione di Istanbul è entrata in vigore in Germania il 1° febbraio 2018. L’ultimo rapporto Grevio del 2022 sottolineava la mancanza di un piano d’azione nazionale, anche se la Convenzione indica la necessità di predisporne uno. I centri di consulenza per le donne sono distribuiti in modo molto disomogeneo. Nelle grandi città ci sono spesso lunghe liste d’attesa. Gli esperti hanno inoltre chiesto un meccanismo di revisione per analizzare i casi di femminicidio e per identificare dove le istituzioni possono rispondere in modo diverso. Gli esperti infine hanno accolto con favore alcuni sviluppi nel diritto penale tedesco che ha incluso tra i reati, ad esempio, quello del cyber-stalking. 

 

In Italia resistenze ai temi di genere

L’Italia è stato il quinto Paese a ratificare la Convenzione di Istanbul. Secondo il rapporto Grevio del 2020, le leggi italiane per combattere la violenza nei confronti delle donne sono in molti casi “innovative” ma capita troppo spesso che non siano messe in atto in modo efficace e uniforme sul territorio nazionale. Inoltre, il rapporto ha sollevato varie preoccupazioni in merito alla parità di genere, alla raccolta di dati nei tribunali e ai casi di custodia dei minori nei casi di divorzio in cui la donna sia stata vittima della violenza del marito.

Tra gli interventi prioritari richiesti da Grevio c’è quello di “prevedere risorse finanziarie e umane adeguate” per attuare quanto già prevedono la legge e le varie politiche anti violenza. Inoltre, si chiede di adottare misure supplementari per garantire che le politiche anti-violenza siano “integrate e monitorate attraverso un coordinamento efficace tra le autorità nazionali, regionali e locali”. Grevio evidenzia per esempio che i servizi di base e quelli specializzati per le donne vittima di violenza non sono equamente distribuiti sul territorio nazionale.

Il rapporto rileva, inoltre, una “resistenza riguardo alla parità di genere” in Italia. Si sono manifestate sia in ambito scolastico, dove molte scuole subiscono crescenti pressioni perché rinuncino a condurre attività educative sul tema, ma anche a livello di ricerca universitaria con la delegittimazione di studi sulle questioni di genere. E anche a livello locale dove alcune città hanno “censurato” eventi che si dovevano tenere in biblioteche pubbliche e miravano ad accrescere la consapevolezza sulle questioni di genere.

 

In Croazia polemiche sulla ratifica

La ratifica della Convenzione di Istanbul nel 2018 è stata accompagnata da un vespaio di polemiche che hanno spinto il partito di governo, l’Unione Democratica Croata (HDZ), a includere una dichiarazione in cui si afferma che la convenzione è coerente con la Costituzione della Croazia e non contiene la cosiddetta ‘ideologia di genere’. Gli oppositori, principalmente ambienti vicini alla Chiesa cattolica, hanno sottolineato che la Convenzione di Istanbul è stata utilizzata in modo improprio per introdurre la cosiddetta “ideologia di genere” nella legislazione croata, nell’istruzione e nei media.

Gli attivisti per i diritti delle donne lamentano invece un’attuazione inadeguata della Convenzione, con giudici che, sostengono, non sanno nemmeno cosa sia la violenza di genere. Tra le criticità rilevate, anche le condanne simboliche comminate nei casi di violenza domestica. Un altro problema è che le donne trovano difficile denunciare un partner violento, temendo di non essere credute. Anche la violenza psicologica contro le donne spesso non viene riconosciuta.

 

Bulgaria: spingere per leggi contro la violenza domestica senza ratifica

Nel 2018 la Corte costituzionale bulgara ha stabilito che la Convenzione di Istanbul promuove concetti giuridici relativi alla nozione di genere incompatibili con i principi fondamentali della Costituzione. Sofia quindi non ha sostenuto i due progetti di decisione del Consiglio sulla ratifica da parte dell’Ue della Convenzione di Istanbul, ha spiegato il ministero degli Affari esteri bulgaro, aggiungendo che il governo e la società civile sono al lavoro per prevenire forme di violenza contro le donne e fornire protezione e sostegno alle vittime. A novembre, il ministero della Giustizia bulgaro ha presentato un disegno di legge con emendamenti alla legge sulla protezione contro la violenza domestica, prevedendo la creazione di un sistema informativo nazionale e di un registro nazionale dei casi di violenza domestica.

 

Bosnia-Erzegovina: una donna su quattro vittima di violenza domestica

La Bosnia-Erzegovina (BiH) è stata tra i primi paesi in Europa a ratificare la Convenzione di Istanbul nel 2013. Tuttavia, la convenzione non è stata completamente incorporata nel quadro giuridico del paese. La frammentazione istituzionale del Paese, tuttavia, ha una ricaduta sull’effettiva tutela delle donne, causando disuguaglianze nell’esercizio dei diritti e nella disponibilità di sostegno per le vittime.

Secondo un rapporto dell’agenzia per l’uguaglianza di genere della BiH, responsabile dell’attuazione della Convenzione, una donna su quattro in BiH è vittima di violenza domestica. Sempre più comportamenti violenti sfociano in femminicidi, senza essere riconosciuti come tali sul piano giuridico. Complessivamente, una donna su due di età superiore ai 15 anni ha subito qualche forma di violenza fisica, psicologica o sessuale.

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