(di Silvia Lambertucci) (ANSA) – ROMA, 07 MAG – Il primissimo reperto, una testa in calcare, fu trovato in fondo a un pozzo a Banatou a Narbolia, ma allora si pensò ad uno dei tanti reperti punici che affollano quel tratto della Sardegna nord occidentale. Si deve invece al ritrovamento casuale fatto da due agricoltori, nel 1974 nel terrritorio di Cabras, la parte centrale della penisola del Sinis, la scoperta della fascinosa necropoli nuragica di Mont’e Prama, la più vasta che si conosca per quell’epoca, con centinaia di tombe allineate lungo una strada funeraria, modellini di nuraghe, betili, ovvero pietre considerate sacre, e una distesa di decine di migliaia di frammenti che ha portato gli archeologi a ricostruire in questi anni circa 30 statue monumentali, un esercito di eroi di pietra fatto di guerrieri, pugilatori, arcieri che costituisce il più antico complesso statuario del Mediterraneo occidentale. Un tesoro che ora è esposto a Cabras nel Museo civico Giovanni Marongiu e a Cagliari nel Museo archeologico nazionale, accompagnato da postazioni multimediali con le ricostruzioni in 3D ad altissima risoluzione create dal centro di ricerca Crs4. Mentre le immagini di questi enormi guerrieri, con il loro fascino millenario, gli occhi incavati che gli restituiscono un sguardo di straordinaria intensità, hanno fatto il giro del mondo con una popolarità in continua crescita, simboli identitari dell’antica civiltà nuragica, quasi come lo sono da sempre i nuraghe.
Un anno fa, nel 2021, la nascita della Fondazione presieduta da Anthony Muroni, alla quale il ministero della cultura ha affidato le sculture e l’immobile che è stato realizzato come ampliamento del Museo Archeologico di Cabras, con un finanziamento di 3 milioni di euro. Ma anche l’area archeologica di Tharros, la Torre di San Giovanni e l’ipogeo di San Salvatore ai quali sono stati destinati 4.15 milioni di euro dal Piano strategico “Grandi Progetti Beni culturali” 2015/2016. Manca solo il direttore, il cui nome, scelto con un concorso, si dovrebbe conoscere a giorni. Ma intanto gli studi, le ricerche e gli scavi archeologici, non ancora aperti al pubblico, vanno avanti. Le prime due campagne di scavo, condotte tra il 1975 e il 1979 dagli archeologi Alessandro Bedini, Giovanni Lilliu, Enrico Atzeni, Maria Luisa Ferrarese Ceruti e Carlo Tronchetti riportarono alla luce architetture, tombe e sculture, confermando la natura cultuale e insieme funeraria del sito.
Mentre si deve a Giovanni Lilliu, figura fondamentale dell’archeologia sarda, l’aver messo in rilievo che le figure che venivano fuori dalla terra in quel luogo del Sinis erano in realtà molto simili ai bronzetti nuragici, diffusi soprattutto nella prima Età del ferro, tra il 950 e il 700 a.C. Le statue, ritrovate a pezzi – all’epoca oltre 5.800 ad oggi se ne contano oltre 10mila – in uno spazio lungo cento metri, vennero portate nei depositi della Soprintendenza archeologica, dove rimasero fino al 2005, quando si trovarono finanziamenti e spazi per il progetto di restauro. Dal 2014, sotto la guida di Alessandro Usai, sono ripresi gli scavi con la supervisione della Soprintendenza diretta da Monica Stochino e preceduti questa volta da indagini con il georadar su circa 80 mila metri quadrati. E’ di questi anni il ritrovamento dei pezzi di altre due statue di pugilatori, diversi dai primi ma dello stesso tipo delle due statue ritrovate in questi giorni nel sito, caratterizzate da un particolarissimo scudo flessibile, che copre la pancia del pugilatore e poi si piega ad avvolgerne il braccio e la spalla. Una di queste due statue è esposta nel museo di Cabras, per l’altra si attende ancora il restauro, che è stato già progettato e che verrà finanziato con un progetto da 2,8 milioni di euro messo in campo dalla Soprintendenza insieme con il Segretariato regionale del MiC. (ANSA).