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Torna Trollope narratore impietoso

 ANTHONY TROLLOPE, ”I DIAMANTI EUSTACE” (SELLERIO, pp. 944 – 20,00 euro – Traduzione di Rossella Cazzullo).
    Un romanzo spietato sulle convenzioni sociali e sulla necessità di apparire, di provare con impegno a farsi credere più di quel che si è, così che la maggioranza dei personaggi recitano sempre anche quando non lo fanno per puro piacere. E in questo teatro Trollope distingue con arguzia che potremmo dire moderna, ma è solo legata a una sensibilità umana, il ruolo degli uomini da quello delle donne, che nello svolgimento della propria esistenza non hanno possibilità di scelta, sia che appartengano all’aristocrazia, sia al popolo. Eppure lo scrittore si impegna a raccontarci come una possibilità idillica quella felice isola matriarcale che è la vecchia casa di Lady Fawn nei sobborghi di Richmond, dove abita con le sue sette figlie nubili e l’istitutrice Lucy, cui si aggiungerebbe anche un figlio maschio, Lord Fawn, ma che compare solo nei week end, quando lascia i suoi impegni a Londra per andare a trovare madre e sorelle, che non a caso imbarazza e limita quella assoluta libertà che c’è sempre in quella comunità di sole donne, dalla vita semplice, per mancanza di disponibilità, ma assolutamente serena e fatta di chiacchere senza veli, studio e giochi.
    Diversa è Lizzie Greystock ricca vedova del nobile Florian Eustace che, per carattere indocile e incapacità di fingere un’innocenza che non ha, insospettisce e allontana i maschi di quel mondo vittoriano, che pure la corteggiano sedotti dalla sua apparente amabilità salottiera e poi l’abbandonano uno dopo l’altro, mentre nei salotti si spettegola sul suo piglio, la sua intelligenza (che è vista più come un difetto che un pregio), la sua ipocrita falsità con la convinzione che ”le bugie sono più belle della verità”. Del resto Trollope ci aveva avvertito subito: ”racconteremo la storia di Lizzie dall’inizio, ma non ci soffermeremo diffusamente come forse faremmo se l’amassimo”.
    E se lei è il personaggio principale, la protagonista di questa narrazione quasi corale è una collana di diamanti, un vero tesoro, che lei sostiene esserle stata lasciata in eredità dal marito, assieme a un castello in Scozia e quattromila sterline, lasciando tutto il resto del gran patrimonio al rappresentante maschio della dinastia nobiliare della famiglia, suo fratello John. Il problema è che questi sostiene che la collana sia un bene cimelio di famiglia e quindi debba restare appunto agli Eustace e non alla vedova, che naturalmente non è d’accordo e reagisce con tutta la sua disinvoltura.
    Di queste pietre di grandissimo valore si discute quindi in termini mondani naturalmente, ma anche legali e persino etici, anche se per tenerla o averla tutto o quasi pare permesso e si trovano sempre giustificazioni pretestuose al proprio operato, ben diverse da quei principi morali che invece si recitano pubblicamente. I preziosi, i soldi diventano il centro vero di ogni azione per i membri di questa rispettabile società, ed è per essi che ci si muove, si recita, si intrecciano amicizie o odi, ci si sposa o ci si lascia. E, sempre tornando alla sensibilità di Trollope di cui si parlava all’inizio, forse la meno strettamente avida è proprio Lizzie, per la quale la collana rappresenta però, in quel mondo descritto tanto impietosamente, la possibilità di essere una donna di potere e soprattutto una donna libera. (ANSA).
   

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