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Ponte di Genova, in docu dramma e rinascita per non dimenticare

E’ il 14 agosto 2018. La pioggia viene giù come un muro d’acqua. Le luci rosse delle auto in frenata segnalano un ostacolo. Il traffico si arresta. Sono gli ultimi istanti di vita del Ponte Morandi a Genova nelle immagini di una telecamera di servizio. E, soprattutto, sono gli ultimi attimi delle 43 persone che di lì a poco perderanno la vita nella peggiore catastrofe stradale mai accaduta in Italia. Una tragedia che lascia ancora interrogativi irrisolti, anche malgrado l’incredibile opera di ingegneria realizzata in tempi record per ricostruire quel viadotto e ricucire la ferita di una città e di un Paese drammaticamente divisi in due. A raccontare oggi la storia di quella tragedia e del riscatto con il nuovo Ponte Genova San Giorgio disegnato da Renzo Piano, inaugurato alla presenza delle più alte cariche dello Stato il 3 agosto 2020, è il documentario “Genova: il ponte della rinascita” di Andrea Vogt e Paul Russel, in onda il 15 febbraio alle 21.00 su History Channel (canale 407 di Sky). Un viaggio intriso di lacrime e sfide, rivissuto attraverso le parole di chi era “lì”, come Gianluca Ardini, che quella mattina a bordo del suo furgone si è salvato davvero per miracolo. Di chi è arrivato poco dopo, come Richard Bordoni, con la squadra Usar dei Vigili del fuoco a scavare tra le macerie. E di chi ha dovuto fare i conti con il proprio dolore. Come Giusy Moretti, diventata il punto di riferimento delle circa 600 persone, che non hanno potuto far rientro nelle proprie case. O Egle Possetti, oggi coordinatrice del Comitato che raccoglie una ventina di famiglie delle vittime. Nel crollo ha perso la sorella Claudia, con il marito Andrea Vittone e i figli di lei, Manuele e Camilla, 14 anni e 12, mentre erano in viaggio da Pinerolo al mare. “E’ stata una tragedia evitabile e quindi ancor più dolorosa – racconta lei oggi all’ANSA – Claudia e Andrea si erano sposati appena 23 giorni prima. Siamo passati dalla gioia massima alla disperazione. Non ha alcun senso quello che è accaduto”. E poi c’è la storia di chi, tra sgomento e speranza, ha dovuto pensare al “dopo”, come il sindaco della città, Marco Bucci, che di lì a poco si ritroverà commissario straordinario per la ricostruzione, e con lui gli uomini del consorzio PerGenova e poi manager, ingegneri, capicantiere delle società che se ne occuparono, come Webuild e Fincantieri Infrastructure. Fino all’archistar Renzo Piano che ha disegnato il nuovo viadotto Genova San Giorgio come una chiglia di nave sul torrente Polcevera. Un’impresa titanica (1.067 metri di lunghezza, 19 campate alte fino a 100 metri, 18 colonne ellittiche in cemento e 200 sensori di vibrazioni e peso) che in due anni ha messo in atto nuovi metodi di lavoro e tecnologie, ma ha dovuto affrontare anche grandi ostacoli, dal mare grosso che bloccava le chiatte con i pezzi in acciaio, al fuoco divampato la notte di Capodanno, fino alla pandemia mondiale (che ha portato via Paolo Micai, autore di alcune delle spettacolari riprese del documentario). Ma che mai si è fermata. “Mi auguro che per questo ponte ci sia più cura e riguardo di quelli che non si sono avuti per il Morandi. E che tutta questa grande energia spesa non porti a dimenticare la tragedia che è stata”, prosegue la Possetti, che di professione, casi del destino, si occupa di sicurezza per una grande azienda. “Oggi stiamo valutando se costituirci parte civile, non solo singolarmente, ma anche come Comitato – dice – Abbiamo fiducia nel lavoro della Procura di Genova, che sta affrontando un lavoro difficilissimo. Dopo aver letto le carte, visto le immagini del processo, saputo quello che non è stato fatto, mi dico che quel ponte poteva essere chiuso. Entro marzo si dovrebbe concludere l’incidente probatorio. I periti risponderanno ai quesiti sulle cause del crollo. E si deciderà sul rinvio a giudizio degli indagati. Come parenti delle vittime auspichiamo che i tempi non siano lunghi. E’ giusto garantire il diritto alla difesa, ma è inquietante sapere, ad esempio, che sulla strage di Viareggio alcuni reati sono caduti in prescrizione. Non vogliamo vendetta, ma giustizia. Perché se i colpevoli verranno puniti, allora in futuro staranno tutti più attenti”.

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