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Nuovo Cinema Paralitico, la poesia dei borghi

NUOVO CINEMA PARALITICO di Davide Ferrario, fuori concorso alla 38/a edizione del Torino Film Festival, è un mosaico di centinaia di piccoli corti filmati in giro per l’Italia evitando i grandi centri e privilegiando invece i borghi, il mondo comune ai margini dei grandi avvenimenti. E tutto questo nel segno della poesia. A volte, infatti, protagonista e Virgilio di questi piccoli microfilm di un minuto e mezzo, è il poeta Franco Arminio che recita poesie, non richieste, nei posti più improbabili, non ultimo in un negozio di barbiere.

Regola formale di questo originale lavoro di Ferrario, che ne spiega anche il titolo, è la ‘paralisi’ della macchina da presa che si muove solo sul suo asse. Insomma si punta l’obiettivo su una piazza e si aspetta cosa accade “un po’ come se si andasse a caccia”, spiega lo stesso regista in conferenza stampa remota. “L’idea mi è venuta al Festival della letteratura di Mantova. Mi sono detto: che palle il film d’azione! E se facessimo un lavoro dove non succede nulla se non semplicemente osservare quello cha accade? Diventa così anche interessante la panchina su cui si siede un pensionato o una partita di calcio vista dalla parte del portiere. Una partita di cui non vedi nulla, ma che comunque riesci ad immaginare e seguire lo stesso”.

E così nel documentario di Ferrario, regista, sceneggiatore, scrittore e critico cinematografico, classe 1956, scorrono le immagini di un hotel a quattro stelle di Caserta, il dietro le quinte di un concerto di piazza, immagini di un mercato di paese. Nella convinzione che “le grandi dimensioni distraggono”, NUOVO CINEMA PARALITICO si muove nel piccolo, lavora ai margini. “Dove non succede nulla in realtà succedono tante cose, noi facciamo il cinema di chi sta all’ultimo banco e come per Serendipity le cose accadono poi quando devono accadere. Nell’idea di base di questo lavoro – continua Ferrario – non c’è niente di intellettuale, ma al contrario qualcosa che possono vedere tutti. D’altronde siamo cresciuti con il cinema che era in mano nostra, con le persone che andavano in una sala e assistevano a una storia di due ore e mezzo pagando pure il biglietto. Oggi con la tecnologia la narrazione è in mano al pubblico e questo lo puoi percepire in tanti modi. Noi abbiamo scelto invece di dare alle nostre riprese il senso di una sospensione che è la chiave necessaria per raccontare i dubbi e le inquietudini del tempo che viviamo”.

Frase cult del film e suo vero manifesto, quella che legge Franco Arminio davanti a dei ruderi: “Dio non è morto, ci ha solo licenziato. La poesia serve per farci riassumere, la poesia è il nostro sindacato”.

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