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Mishima, 50 anni dopo autore controverso e moderno

ROMA – Come tutti coloro che, in una sorta di astratta fusione tra sentimento e vita, anelano idealisticamente all’assoluto anche Yukio Mishima (pseudonimo di Kimitake Hiraoka), scrittore giapponese morto giusto 50 anni fa, il 25 novembre 1970 a 45 anni, con un suicidio eclatante e drammatico, era in quel periodo di contestazione globale e di vogliamo tutto, che è una forma di assoluto, una figura riconosciuta a livello internazionale, un modello, anche se lontano. Solo per capire, potremmo dire che fu un po’ come per noi Pasolini, artista con la sua nostalgia di una società precapitalista e la denuncia del potere presente.

Oggi, ricordato in particolare dalla destra, visto che la sua parabola esistenziale e ideologica potremmo facilmente etichettarla secondo i nostri riferimenti come di tipo fascista, Mishima si cerca di rileggerlo reinserendolo nella realtà nipponica cui profondamente apparteneva e in un’idea culturale quasi metafisica. Per intendere la sua estraneità a una realtà concreta e contingente basti ricordare l’interesse che dimostrò per gli studenti sessantottini di sinistra e la loro lotta idealista di contestazione al sistema capitalista, che per Mishima riduceva l’uomo a una dimensione calpestando dignità e valori tradizionali, che però per lui erano incarnati nella figura trascendentale, assoluta dell’imperatore.

E’ quindi nel nome dell’imperatore e in difesa della bellezza e autenticità del mondo ucciso dalla fine della guerra (Hiroshima) , che lo scrittore da inizio anni ’60 avvia il proprio processo di radicalizzazione nazionalista e militarista secondo il principio che ”sapere senza agire equivale a non sapere”, arrivando nel 1968 a costituire una sua associazione paramilitare, Tate no kai (Societa dello scudo). Una decina di anni dopo, appena consegnato all’editore l’ultimo romanzo, ”Il mare della fertilità”, finirà così la propria vita con un Suppoku, l’harakiri dei samurai con una spada nel ventre, dopo aver cercato di far scattare la scintilla di una sorta di colpo di stato, irrompendo con i suoi seguaci nel ministero della difesa e arringando i militari affinché si ribellino per restaurare i valori spirituali del Giappone imperiale. E il suo inneggiare all’Imperatore era, appunto, simbolico, qualcosa di metafisico e idealistico e col suo suicidio si lega alla dichiarata fede nell’ ”Hagakure”, libro del XVII secolo sull’etica dei samurai.

Mishima, che nonostante la sua omosessualità si era sposato e aveva avuto due figli, era un personaggio pubblico già prima, scrittore di successo, fautore di arti marziali come il Kendo, protagonista del film ”Patriottismo”, su di un ufficiale che decide di uccidersi col suppoku con la moglie: sua sceneggiatura profetica poi anche diretta e interpretata, e con sue foto che appaiono sui giornali popolari.

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Il fatto è che l’azione, e la produzione letteraria da ”La spada” del 1963 sino ai testi ultimi lancinanti come il dramma ”Madame De Sade” del 1963 e la narrazione e personale rilettura storica ”Il mio amico Hitler” del 1968, hanno finto per mettere in ombra le qualità dello scrittore e in particolare dei suoi primi libri di analisi psicologica a sfondo più o meno autobiografico, come il sofferto ”Confessioni di una maschera” del 1949 sui problemi con la propria omosessualità, e poi ”Colori proibiti”, ”La voce delle onde” (scritto dopo un lungo viaggio in Grecia e ispirato al mito di Dafni e Cloe), ”Il padiglione d’oro” del 1962, nato da un fatto di cronaca, l’incendio di un tempio tradizionale da parte di un giovane handicappato, e considerato il suo romanzo migliore, sino a ”Dopo il banchetto” e ”La stella meravigliosa” del 1961, con spunti fantascientifici. Sono romanzi ben strutturati, ricchi di riferimenti culturali e notazioni filosofiche, che riflettono letture occidentali ma restano ben inseriti in quella tradizione letteraria giapponese confermata dall’amicizia che Mishima ebbe con uno scrittore quale il premio Nobel per la letteratura Kawabata.

In occasione di questo cinquantenario escono in Italia due saggi: ”Mishima martire della bellezza” di Alez Pietrogiacomi (Alcatraz, pp. 160 – 12,00 euro) che raccoglie ”le frasi tratte dalle sue opere e dai suoi discorsi, per creare una sorta di manuale per moderni guerrieri, per uomini e donne dallo spirito indomito e poetico, capaci di riflettere e agire al tempo stesso”; e ”Yukio Mishima. Enigma in cinque atti” di Danilo Breschi (Luni, pp. 258 – 20,00 euro), saggio che ne vuol restituirne l’originale figura artistica, comparandola con autori che vanno da Kierkegaard a Pirandello, da Camus a Cioran, e affrontandone, tra vita e pensiero, ”quel corto circuito tra il medioevo più feudale, gerarchico e guerriero, ed una modernità tanto avanzata da anticipare il postmoderno”.

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