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Zerocalcare, racconto com'è cambiata l'Italia

 ZEROCALCARE, A BABBO MORTO (Bao Publishing, pp.80, 11 euro). Il dissenso non va in vacanza, neppure a Natale, perché tra regali da scartare, pranzi da preparare e lucine da accendere c’è sempre bisogno di guardare a noi stessi con franchezza (e un po’ di cinismo): ne è convinto Michele Rech, in arte Zerocalcare, che dal 12 novembre è in libreria con “A Babbo morto” (Bao Publishing), la sua personale interpretazione della “fiaba” di Natale. A metà tra la favola illustrata e il fumetto (con i colori di Alberto Madrigal), il libro mette al centro temi complessi come la stagione del terrorismo, la globalizzazione, lo sfruttamento dei lavoratori, la diffidenza verso l’informazione, raccontando una storia da brivido: dopo la morte di Babbo Natale, emerge quello che si cela dietro al business della consegna dei regali, con i folletti sfruttati che rischiano il licenziamento. Tumulti e proteste, violenze del Fronte Armato Folletto, campi profughi e anziane befane rider che scioperano insieme ai minatori sardi dipingono un quadro che di rassicurante ha davvero ben poco. “Io in realtà amo il Natale, ma volevo accostare le cose tipicamente natalizie a temi più efferati. Ho concepito questo lavoro come una sorta di libro di fotografie per guardare l’evoluzione di un Paese negli anni trattando anche questioni complesse, come il terrorismo, che sarebbe stato difficile affrontare, se non traslate nel mondo del fumetto”, racconta in un’intervista all’ANSA. La novità è che, insieme alla versione cartacea, “A Babbo morto” esce anche in formato audiolibro, prodotto e distribuito da Storytel, un adattamento originale con le voci di Neri Marcorè e Caterina Guzzanti, e anche di Zerocalcare. Un impegno non indifferente e fuori dalla “comfort zone”, per chi è sempre stato schivo a mostrarsi: “Lavorare all’audiolibro è stata una bella esperienza ma non riesco a riascoltare la mia voce. Avevo già iniziato a fare le parti vocali nei cartoni animati durante la quarantena, ma l’idea di aver lavorato accanto a Neri Marcorè e Caterina Guzzanti mi imbarazza tantissimo, perché sono bravi e il merito è tutto loro se è venuto fuori un bel lavoro”, dice.
    Oltre alla “terribile” fiaba natalizia, a ottobre Zerocalcare è stato protagonista anche con “Scheletri”, thriller grafico ispirato alla realtà (“un tentativo di raccontare le cose della mia vita troppo dure, dentro una cornice noir, ma il contenuto è simile agli altri miei lavori per emozioni e temi”, spiega).
    Dove trova il tempo per “vivere” la periferia e nutrirsi delle sue storie come faceva in passato? “Non ho tempo per fare niente, per questo mi impongo di fare delle cose che possano alimentare le chiacchierate con gli amici, non solo il mio lavoro. La mia rete sociale resta la stessa con gli amici di sempre, che faccio di tutto per incontrare. E’ l’unico modo per non perdere la mia identità”. L’idea che possa essere un esempio per i giovani come la fa sentire? “Questa è la grande illusione che dà la patinatura mediatica: io non posso dare lezioni a nessuno e non credo proprio di poter essere d’esempio. Forse posso parlare di come si fa un fumetto, anche se non sono un campione di tecnica. Di certo quello che sfugge spesso a chi desidera lavorare con i fumetti è che si deve necessariamente avere qualcosa da dire, con una visione del mondo definita. La differenza la fa la consapevolezza, non del mestiere in sé ma di un’idea più ampia delle cose. Tutto sommato però credo che mi leggano più i vecchi che i ragazzini. Per strada mi fermano tanti cinquantenni e ho paura che i ragazzi non leggano molti fumetti né libri, più che altro credo seguano i trapper”. Nel lockdown è stato molto attivo, raccontando l’Italia e se stesso con gli episodi Rebibbia Quarantine. Ora secondo lei il Paese è cambiato? “Nel primo lockdown avevamo sentimenti di paura, di comunanza, di attenzione all’altro. Ma tutto questo col tempo si è sfilacciato, perché si sono marcate le distanze tra chi resta indietro, chi resta a galla e chi invece si è arricchito. Il covid non ci ha messo sulla stessa barca: più che altro siamo tutti nella stessa tempesta, ma le barche sono diverse. C’è chi ha la zattera e chi il transatlantico: per questo credo che chi ha di più deve fare la sua parte, altrimenti queste fratture non saranno sanabili”. Della fruizione culturale online cosa pensa? “Non so se esista davvero un pubblico per le iniziative online, io non le seguo e non conosco nessuno che lo faccia, ma forse il mio è un punto di vista falsato”, ammette, “Per me questa è una vita a metà, senza poter andare al cinema o ai concerti, e penso anche alle difficoltà di chi lavora in quei settori. Quello che temo è che ci trascineremo ancora a lungo in questa situazione, non so, forse sarebbe stato meglio evitare le mezze misure e chiudere davvero tutto, per uscirne magari in minor tempo.
    Ancora non sto pensando a un lavoro specifico sulla pandemia ma di certo il virus ha prodotto cambiamenti tali che in un modo o nell’altro questi temi entreranno per forza nei miei prossimi lavori”. (ANSA).
   

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