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'The Rossellinis', vita all'ombra del mito

Se sul telefonino una delle tue chat si intitola I Rossellini e tuo nonno era Roberto Rossellini, il regista di Roma città aperta, e tra i tuoi parenti c’era Ingrid Bergman ad esempio o Anna Magnani diventata col tempo amica di famiglia, è fatta, “dalla rossellinite non guarisci”. A questa famiglia più che allargata – tre mogli e rispettivi figli – è dedicato un ritratto affettuoso, ironico, sarcastico, amaro, assolutamente divertente che Alessandro Rossellini, “il mezzosangue” come lui stesso si definisce, figlio del secondogenito Renzo Rossellini (la mamma è Marcella de Marchis, la prima moglie del regista) e dell’afroamericana Katharine Brown, ha realizzato andando ad intervistare tutti gli zii e parenti in giro per il mondo, “gli United Colors of Rossellini”, sparsi tra la Svezia, l’Italia, gli Stati Uniti, l’India. Il film ‘The Rossellinis’, evento speciale di chiusura della 35/a Settimana della Critica alla Mostra del Cinema di Venezia 2020, prodotto da B&B Film, coprodotto da VFS Films con Rai Cinema in associazione con Istituto Luce Cinecitta’ , uscirà al cinema il 26-27- 28 ottobre distribuito da Nexo Digital.
    L’opera è più che un documentario, pieno di immagini d’epoca, filmini rari, interviste recentissime, “è una gigantesca seduta psicanalitica durante la quale ho cercato di curare quella sindrome speciale – dice all’ANSA Alessandro Rossellini, 57 anni – che io chiamo rossellinite e che anche se non lo ammettono, ci ha contagiati tutti, un virus misterioso.
    Significa crescere all’ombra di quello che è un mito del cinema ma che in famiglia non era facile affatto. Se hai quel cognome, e vale per me ma è valso per mio padre, per le mie zie Ingridina e Isabella, per mio zio Robin – così chiamano Robertino, il figlio di Ingrid e Roberto – difficile eguagliare un genio simile, potrai fare il regista quanto vuoi, ma non sarai capace di fare un capolavoro come Roma città aperta, così come Isabella, meravigliosa quanto vuoi, non ha mai raggiunto la bellezza della madre. Dalla nascita, come esemplari di razza rosselliniana, siamo stati chiamati al mondo, per la percezione delle persone, creativi e colti per natura, ma chi nei fatti poteva essere all’altezza?”.
    Alessandro Rossellini non nasconde il suo passato di tossicodipendenza e proprio il recupero dalla droga è alla base del suo lavoro “che amo moltissimo” – in una comunita’ nelle Marche ndr – e spiega che far vedere con franchezza il mondo dei Rossellini “a costo di tirare giù il mito dall’altare” era una cosa che in un certo senso poteva liberarlo “di un fardello pesante come il nostro cognome”. Il film si apre con il funerale a Roma, il 6 giugno 1977, del grande regista e già dalle prime frasi fuori campo capisci che non è un ricordo troppo celebrativo: “Dietro il feretro – dice Alessandro Rossellini commentando le immagini a colori – ci sono io che ho 13 anni e sono stretto a mia nonna Marcella, poi c’è mio padre Renzo, bravissimo a fare il figlio, e zia Isabella arrivata nella notte dall’America a piangerlo dopo anni di litigi, in disparte fuori dai riflettori come sempre la sorella gemella Ingridina – “la gente era cattiva – dirà nel film – voleva sempre fare i confronti con la bellezza di mia sorella e di mia madre, non assomigliavo all’una ne all’altra – poi lo zio adottivo Gil in prima fila per far capire che e’ un Rossellini, zio Roberto il bello, zia Raffaella che ora si chiama Nur ed è musulmana, nulla sarà come prima: mio nonno Roberto ha lasciato al mondo dei capolavori del cinema a noi nemmeno una lira e un enorme patrimonio di conflitti”.
    Il film, spiega il neoregista, “e’ stato il pretesto per dirci delle verità che non c’eravamo mai detti, con sincerità , con amore che oggi sentiamo di provare tra tutti”. Alessandro li sente spesso, la famiglia non si riunisce più come quando c’era il nonno e a tutti trovava un lavoro sul set per farli stare assieme, ma per le riprese del documentario li e’ andati a trovare uno ad uno, da Robertino “troppo bello per essere intelligente”, playboy ora ritirato nell’isoletta svedese dove la madre e il padre passavano le vacanze, all’ironica Isabella ormai nonna “siamo nati – dice con complicità al fratellastro – perdenti sin dal primo vagito”. Alessandro ha “evocato dolori, riparlato di persone che non si sono più , provato a ridimensionare, a curare quell’ansia da prestazione che avevamo dalla nascita. E’ vero, siamo stati e siamo una famiglia speciale, magica, ma i nostri conflitti, i nostri legami complicati sono le problematiche familiari di tutti e spero che il pubblico guardi dietro al mito per provare con noi sincera empatia”. (ANSA).
   

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