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Rosi, detesto filmare, il mio cinema è incontro

“Detesto filmare” dice Gianfranco Rosi, il regista Leone d’oro a Venezia con Sacro Gra e Orso d’oro a Berlino con Fuocoammare, che con l’ultimo film Notturno faticosamente e rischiosamente realizzato in Medio Oriente è stato in concorso a Venezia 77 uscendo, tra le polemiche, a mani vuote ma che potrebbe essere designato come film italiano candidato agli Oscar 2021, quest’anno spostati al 25 aprile (la commissione Anica si riunirà entro martedì 1 dicembre).

“Quando metti la cinepresa tutto cambia, i momenti più belli per me sono e restano quelli della ricerca, della preparazione, degli incontri. Senza gli incontri il cinema, il mio cinema non esiste, io non parto dalla sceneggiatura, non ce l’ho proprio ed è per questo che non faccio film di finzione. Io parto dall’intuizione, dall’essenza e perciò sono reticente a filmare e aspetto, aspetto, indugio sulle inquadrature rincorrendo la luce giusta, che per me è un modo per rinviare il ciak”, spiega Rosi nell’Incontro Ravvicinato alla Festa di Roma, moderato dal direttore Antonio Monda, davanti ad un pubblico giovane, attento, in religioso silenzio. “Mi mette ansia incredibile dare il ciak – confessa Rosi, doppio passaporto italiano e americano, diplomato alla New York University Film School – perché sono cosciente che la cinepresa in azione fa cambiare la realtà, la situazione che mi aveva affascinato rischia di scolorarsi”.

Rosi mostra di aver superato il mancato premio veneziano: “I premi si vincono e si dimenticano, ma soprattutto non si aspettano mai”. Notturno è intanto nei festival internazionali: in questi giorni a Londra, poi Busan, Tokyo. Alla platea della sala Borgna all’Auditorium risponde a distanza a chi lo accusa di perfezionismo di scene in situazioni di guerra, come per Notturno: “C’è questa idea che l’immagine di un film debba essere sporca per essere più vera, che sarebbe come chiedere ad uno scrittore di essere sgrammaticato. L’ambiente, la luce è elemento narrativo fondamentale, come il coro nella tragedia greca, poi ci sono gli incontri, l’umanità ed è per quello che io faccio cinema”. Ricorda la realizzazione di una delle scene toccanti di Notturno: una madre yazida nel buio che ascolta i messaggi della figlia rapita dall’Isis da sei anni. “Anche lei era stata rapita, poi liberata e con una ong portata a Stoccarda. Con quel telefono che il marito della figlia mi aveva affidato sono andato da lei e filmato, con il suo permesso, il dolore silenzioso dell’incontro della donna con la voce della figlia ancora schiava dell’Isis. C’è tanta informazione, la possiamo trovare tutti, per questo per me il documentario deve restare cinema, ha il ruolo di raccontare la realtà senza avere la dittatura del racconto, ma restituendo emotivamente quello che vedi. Per fare questo devi avere la fiducia del pubblico e lavorare alla ricerca che è il senso del mio lavoro”.

Durante l’incontro sono state mostrate scene di due film ‘preferiti’ scelti da Rosi, oltre che spezzoni dei suoi documentari: Banditi a Orgosolo (1961) di Vittorio De Seta e Los Olvidados, i figli della violenza di Luis Bunuel.

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