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Matt Dillon, mi sento per metà italiano

CAGLIARI – Un attore che ha nel suo Dna film come Giovani guerrieri, I ragazzi della 56/a strada, Rusty il Selvaggio, Drugstore Cowboy e Crash-contatto fisico, per il quale è stato candidato all’Oscar, si presenta inevitabilmente come un bad boy, anche se, incontrandolo al Forte Village (Cagliari), non sembra affatto. T-shirt blu, muscoli in evidenza, l’attore nato negli Usa (a New Rochelle il 18 febbraio 1964), ma di origine irlandese, al Filming Italy Sardegna Festival dove è presidente onorario, si mostra disponibile a parlare dei suoi progetti e soprattutto del suo amore per il nostro Paese.

“Per me l’Italia è ormai una seconda patria – dice Dillon che da tempo ha una compagna italiana, l’attrice Roberta Mastromichele -. Il vostro è un paese così bello che spesso mi chiedo: ma non c’è un lavoro per me qui?”. Anche parlando della pandemia fa un netto distinguo tra Italia e Usa. “Tutti negli Stati Uniti, al contrario di voi italiani, si sono mostrati abbastanza stupidi per come hanno affrontato la situazione. È vero, l’America è un paese enorme, ma la nostra attuale leadership è davvero terribile. A livello locale ci sono anche personaggi come Cuomo che hanno fatto un buon lavoro, un po’ come è stato per il vostro primo ministro Giuseppe Conte”. Per quanto riguarda i suoi progetti dice poco sul film ‘The Land of Dreams’ di Shirin Neshat e Shoja Azari, una commedia in cui recita anche Isabella Rossellini, che è una feroce satira su un’America che chiude sempre più i confini tanto da diventare quasi un’isola: “È un lavoro davvero interessante che mi ha coinvolto molto”. Per quanto riguarda ‘Capone’ di Josh Trank , film che racconta l’ultima parte della vita del gangster, spiega: “Intanto mi è subito piaciuta la sceneggiatura, poi amo molto Tom Hardy che interpreta Capone. Infine, ho adorato il fatto che quest’uomo viene visto in un periodo di piena decadenza, non viene affatto glorificato. Io nel film sono Johnny, un suo amico che è anche un po’ la sua coscienza”.

Anche su Proxima, film del 2019 diretto da Alice Winocour e girato in varie vere strutture dell’Agenzia spaziale europea, dall’attore solo belle parole. “È stata un’esperienza interessante fare l’astronauta. Lo spazio infinito, poi, mi ha sempre affascinato”. Un fiume di parole, invece, per il suo lavoro da regista, ovvero per il documentario del 2018 su un compositore e cantante cubano Francisco Fellové, detto anche ‘El gran Fellové’ scomparso nel 2013. “È da tutta la vita che volevo realizzare questo progetto. Nel ’99 girai del materiale mentre Fellové stava incidendo un suo disco. E’ stato uno dei primi cantanti cubani a cercare fortuna a Città del Messico negli anni ’50 che all’epoca rappresentava, nell’America Latina, il cuore, il centro della musica, del cinema e della televisione. Il documentario parla di quel genere musicale detto ‘filin’, influenzato dal jazz americano, di cui Fellové è stato un grande interprete”.

E a proposito della differenza tra regista e attore conclude Dillon, sempre con il grande entusiasmo mostrato in tutto l’incontro: “Quando sei regista ti senti molto più responsabile di quello che fai. L’attore interpreta la visione di un altro, da regista metti invece in scena la tua visione”.

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