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Il fascino dei poeti giapponesi del '900

 AA.VV. ”POETI GIAPPONESI” (EINAUDI, pp. 378 – 18,00 euro – A cura di Maria Teresa Orsi e Alessandro Clementi Degli Albizzi).
    Ecco, in particolare per gli amanti del Giappone e della sua cultura, un libro affascinante che ci accompagna in viaggio lungo il Novecento e oltre, verso la modernità ma sempre senza mai rompere i legami con la tradizione classica e quella sua particolarissima ottica poetica che, azzardiamo, ha un suo equivalente nella pittura sulla carta di riso con le sue essenziali pennellate nere. Il volume, che propone anche tutti i testi a fronte in lingua originale, si avvale di una bella e chiara introduzione storica della Professoressa Orsi (Università Sapienza di Roma) e, in appendice, degli intensi e incisivi ritratti critici di ogni poeta firmati da Clementi.
    Si va da Ishimure Michiko, figura di gran rilievo di cui è stato scritto che porta dentro il proprio corpo il dolore di cento anni di modernità”, e poi i poeti nati dopo il 1930 per arrivare a Fuzuki Yumi, nata nel 1991, non a caso una donna, visto quello che è stato chiamato il boom della poesia femminile degli anni ’80, nonostante questa presenza fosse andata invece crescendo sin da dopo la fine della Seconda guerra mondiale, come sottolinea la Orsi.
    Un percorso in cui nasce e prende piede il verso libero e vediamo talvolta esprimersi qualcuno in una sorta di poesia in prosa.
    Accanto ai temi più tradizionali legati alla natura con valenza esistenziale e il senso della bellezza effimera, che comunque riemergono sempre, se ne allineano via via molti altri, da quelli appunto mistico-naturalistici a quelli del disagio del vivere sino a quelli politici, soprattutto nell’immediato dopoguerra e poi a cavallo delle contestazioni giovanili a cavallo degli anni Settanta, di cui il rappresentante più esemplare, anche nel percorso poetico, è Sasaki Mikirò, che parlò lui stesso ”della sfrenata corsa del linguaggio,l’impennata delle immagini, il superamento del significato delle parole”. Ma si trattò di una breve fiammata cui seguì ”la stasi degli anni Ottanta” e Sasaki medesimo cercò la sua ispirazione in viaggi in Nepal e Tibet e nei paesaggi come stimolo alla ”possibilità di trovare parole che ne diventino proiezione fisica”.
    Diversissime insomma le sfaccettature personali, che solo leggendo queste delicate, intense, tenere e forti poesie si possono almeno intuire, e varie le tendenze stilistiche in una ricca e fertile dialettica tra influenze letterarie occidentali e legami più o meno stretti sempre con la grande tradizione giapponese, che rendono per noi affascinante la lettura di questa antologia, tendo presente che quella giapponese è in profondità, per quel che ho capito (non solo su queste pagine, cercando di non soffermarci come è facile solo alla superficie), una delle culture più ”altre” rispetto alla nostra.
    Inutile a questo punto far nomi che non dicono nulla se non si hanno davanti i loro versi, ma per chiudere questo invito alla lettura citerò, senza che questo voglia significare nulla, solo i primi e gli ultimi versi del libro: ”Il cielo cui dovrebbero andare le mie preghiere / è lui stesso a soffrire” di Ishimure Michiko del 1980 e ”Vero e falso si mescolano,/ in un cammino di ghiaia dai grani scintillanti./ (Cerca di accettarlo in qualche modo) / noi ancora per un po’ procederemo fianco a fianco / fino al crocevia dove le labbra si fermano” di Fuzuki Yumi del 2016. (ANSA).
   

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