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Racconti romani di Gianni di Gregorio

GIANNI DI GREGORIO, ”LONTANO LONTANO” (SELLERIO, pp. 184 – 13,00 euro).
    Il sogno di anziani che dalle panchine di un giardinetto o le sedie di un bar sognano di fuggire lontano, in un posto dove c’è sempre il sole è il tema di un bellissimo, malinconico e sorridente testo poetico teatrale di Aldo Nicolaj ”Classe di ferro” (di cui in Italia sono stati protagonisti attori come Gianni Santuccio, Ciccio Ingrassia, Corrado Pani, Paolo Bonacelli…) realtà che torna ora proposta da Gianni Di Gregorio, scrittore e regista, in un racconto e nel suo ultimo film (con Ennio Fantastichini nella sua ultima interpretazione) intitolato appunto ”Lontano lontano”.
    Questo testo, proprio perché legato all’ultimo film dell’autore di ”Pranzo di ferragosto” e di ”Gianni e le donne”, attira l’attenzione, che pure merita, ma rischia di mettere in ombra gli altri due bei racconti che compongono il volumetto appena edito da Sellerio. Un libro che è un omaggio a Roma, alla Roma vera che diventa protagonista di queste pagine, quasi ferma a una sua idea letteraria un po’ fuori del tempo, con strade e luoghi, un modo di viverla nel quotidiano, di sentirne umanamente l’eternità, un po’ come il protagonista di ‘Aìon”, il calore e la pigrizia abitudinaria legata alle piccole cose, la quiete all’interno delle case e i vicoli fuori, nei quartieri storici e popolari della capitale, dal Portico d’Ottavia a Trastevere e il Gianicolo. Tre racconti semplici che proprio in questa semplicità hanno la loro verità e forza elementare.
    ‘Aìon” appunto è tutta questa Roma, rappresentata dal protagonista cinquantenne con la sua indolenza, il vivere eternamente al presente, con l’unico impegno di occuparsi dell’anziana madre, ”scontenta perché è vecchia”, che si sperde, ”pensa comunque di fare qualcosa, si ferma di nuovo, parla da sola, s’impiccia di tutto”, alle cui spalle vive da sfaccendato. Ne subisce le necessità e prepotenze, adempiendo alle commissioni affidategli addolcite da soste al bar senza alcuna preoccupazione, sino all’inevitabile finale che gli increspa i pensieri ma comunque affronta appunto con la sua mancanza di senso del tempo, quell’Aìon (attimo eterno) figlio di Cronos. E la scrittura ci rende senso e atmosfera con leggerezza, con un suo retrogusto evidente romanesco.
    Poi c’è ”Incantesimo”, sempre con una vecchia madre assillante, protagonisti due fratelli scapoli, Emilio, direttore di un mattatoio di un paesino vicino ovviamente a Roma, col suo vagheggiare mentalmente Anna la cameriera, e Virgilio, ingegnere al comune e invece concreto dongiovanni. Anche qui siamo tra fraschette, bevute, artigiani e barbieri in un tran tran e un mondo quasi a parte da cui si vagheggia una liberazione, mentre la periferia incombe.
    ”Lontano lontano” allinea un professore in pensione e il suo vecchio amico detto il Vichingo che progettano un’altra vita alle Azzorre e coinvolgono Attilio, che ha un banco-baracca a Porta Portese. Pur considerandosi quest’ultimo ”cittadino del mondo”, non meno degli altri per pensare di partire deve rompere col passato e il presente di una vita, e le pagine miglior del racconto sono questo farci i conti per rinunciare a luoghi, oggetti e persone. La cosa si rivelerà allora non tanto facile e indolore. Via via emergono sentimenti e necessità che prima sembravano non esserci più. Così il finale a sorpresa, nel segno di una generosità romana e del bel gesto che serve anche da scusa per rinunciare (felicemente) al progetto e ritrovarsi a andare a Terracina con una fetta dolce di cocomero ghiacciato in bocca. (ANSA).
   

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